Sentenza n. 87 del 1992

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SENTENZA N. 87

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge regionale siciliana 4 gennaio 1984, n. 1 (Disciplina dei consorzi per le aree di sviluppo industriale e per i nuclei di industrializzazione della Sicilia), promosso con ordinanza emessa il 19 dicembre 1990 dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia sul ricorso proposto dall'Associazione sindacale Intersind contro l'Assessorato regionale per l'industria ed altri, iscritta al n. 544 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visti l'atto di costituzione dell'Associazione sindacale Intersind nonchè l'atto di intervento della Regione Sicilia;

udito nell'udienza pubblica del 17 dicembre 1991 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

uditi l'avvocato Filippo Satta per l'Associazione sindacale Intersind e l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per la Regione Sicilia.

Ritenuto in fatto

1.- Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, pronunziandosi in grado di appello sul ricorso proposto dalla associazione sindacale Intersind, delegazione di Palermo, avverso la propria esclusione dal Consiglio Generale del Consorzio per l'area industriale di Palermo, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge regionale siciliana 4 gennaio 1984, n. 1 per contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

Ai sensi di tale norma al Consiglio Generale dei Consorzi per lo sviluppo industriale, partecipano, tra gli altri, con voto deliberativo, tre rappresentanti delle "associazioni degli industriali, di cui due designati dalle associazioni provinciali degli industriali ed uno dall'Associazione piccole e medie industrie, competenti per territorio". In base a tale norma, l'Intersind, associazione sindacale delle imprese a partecipazione statale, era stata esclusa dal Consiglio Generale dei Consorzi per l'area di sviluppo industriale di Palermo, al quale erano stati invece ammessi due rappresentanti designati dalla Confindustria.

Il giudice a quo ha rilevato che la legge regionale riserva la nomina dei rappresentanti delle imprese in seno al consiglio direttivo del consorzio alle "associazioni provinciali degli industriali", sottolineando nel contempo che soltanto la Confindustria articola la propria organizzazione territoriale sulla base di associazioni provinciali, mentre l'Intersind è articolata su "delegazioni territoriali" non coincidenti con la ripartizione per province. E il Consiglio di giustizia amministrativa ha ritenuto di non poter condividere l'interpretazione logica della norma regionale prospettata dall'Intersind, secondo la quale l'espressione "associazioni provinciali" dovrebbe intendersi alla stregua di "associazioni locali", senza un vincolo immediato dell'organizzazione territoriale dell'Associazione con determinate circoscrizioni amministrative locali dell'ordinamento statale.

L'Intersind ha peraltro una notevole consistenza organizzativa nella provincia di Palermo e - più in generale - sull'intero territorio regionale; sicchè - osserva il giudice a quo - appare viziata di illegittimità costituzionale per violazione dell'art. 3 della Costituzione, una norma che, in base al solo dato formale della mancanza di articolazioni associative provinciali, esclude a priori tale associazione dagli organi consortili anche in quelle province in cui - in teoria - o potrebbe essere maggiormente rappresentativa ovvero in cui la Confindustria, pur se più consistente, potrebbe non avere quel grado di rappresentatività assolutamente prevalente che giustificherebbe la pretermissione di ogni altra associazione. D'altra parte il legislatore regionale ha previsto che al consiglio generale del consorzio partecipino - tra gli altri - "quattro rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative in campo nazionale", mostrando così che il legame con una specifica realtà economica a dimensione provinciale non è un necessario presupposto logico per la partecipazione al consiglio stesso; sicchè appare dubbia l'intima coerenza di una norma che da una parte fa riferimento alle associazioni nazionali dei lavoratori e dall'altra fa riferimento alle sole associazioni provinciali dei datori di lavoro.

Nel giudizio davanti a questa Corte si è costituita l'Intersind sostenendo la fondatezza della questione e sottolineando, a tal fine, che appariva arbitraria e irragionevole la valutazione in base alla quale il legislatore regionale, nel determinare la composizione del Consiglio Generale, aveva discriminato tra associazioni delle industrie private ed associazioni delle industrie pubbliche sulla base soltanto del modello di articolazione territoriale da esse adottato e cioé sulla base di un criterio privo di una qualsivoglia valenza sostanziale (quale invece avrebbe potuto avere un criterio basato, ad esempio, sul numero e sull'entità delle imprese associate operanti sul territorio di competenza del Consorzio).

Tale irrazionalità appariva poi ancor più evidente, secondo la difesa dell'Intersind, considerando che il Consorzio per le aeree industriali è un organismo strumentale allo sviluppo economico di una parte del territorio nazionale secondo un disegno di incentivazione da parte dello Stato e della Regione, al quale concorrono, con pari dignità, imprenditori privati ed imprese a partecipazione statale, e queste ultime addirittura costituiscono uno degli strumenti tipici per favorire lo sviluppo economico del Mezzogiorno

Più in generale, la difesa dell'Intersind denuncia l'incostituzionalità del riferimento territoriale adottato dalla legge per le organizzazioni datoriali. Senza alcun fondamento o giustificazione nella logica interna del provvedimento normativo nel quale è inserita, la norma fa infatti rigidamente coincidere il limite di rilevanza territoriale dell'organizzazione assunta dalle varie Associazioni con una tra le varie suddivisioni delle autonomie locali. Tutto ciò è irrazionale, perchè se l'associazione è libera, libera deve essere anche la sua organizzazione.

Ben può essere cioé stabilito il requisito della articolazione e della rappresentatività su base locale e può anche essere stabilito il principio della "effettiva rappresentatività locale" degli organismi nei quali si articola una associazione; non ha invece alcun senso, nè risponde ad alcuna esigenza di interesse pubblico, lo stabilire "a priori" quale debba essere la forma della articolazione locale della associazione ed in particolare imporre un'articolazione per province o per comuni.

É intervenuto il Presidente della Giunta regionale della Regione Sicilia, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, che ha concluso per il rigetto della questione. Secondo l'Avvocatura, l'apparente discriminazione a danno dell'Intersind trova ragionevole giustificazione nel fatto che il legislatore regionale, nell'ambito delle scelte normative riservate al suo discrezionale apprezzamento, ha ritenuto di ancorare alla estensione territoriale corrispondente alla zona di operatività del Consorzio la rappresentanza degli interessi degli enti o associazioni di categoria; ciò si può agevolmente desumere dalla espressione "competenti per territorio" contenuta nel quarto comma dell'art. 6 e riferita all'associazione piccole e medie industrie, e dall'espresso riferimento al "perimetro dei consorzi e delle aree di sviluppo industriale" effettuato nel successivo art. 7, relativamente al territorio dei Comuni che possono avere diritto alla rappresentanza in discussione. In proposito, appare pertinente il richiamo allo scopo primario dei consorzi per le aree di sviluppo industriale, che l'art. 50 del d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218 individua nella necessità di "favorire nuove iniziative industriali di cui sia prevista la concentrazione in una determinata zona", in quanto il collegamento territoriale tra "aree attrezzate" (v. art. 3 legge regionale n. 1 del 1984) ed interessi locali degli industriali trova origine proprio nella delimitazione della fascia di localizzazione dei Consorzi medesimi.

2.- Con memoria successivamente depositata, l'Intersind ha replicato alle ragioni esposte dall'Avvocatura Generale dello Stato, sottolineando che la censura in esame non era volta a contestare il diritto del legislatore di adottare riferimenti territoriali per individuare le organizzazioni datoriali che meritano di essere rappresentate negli organismi pubblici operanti con ambito di competenza territoriale limitata. Ma il criterio adottato dalla legge siciliana n. 1 del 1984 fa riferimento non all'effettiva presenza sul territorio di una certa organizzazione imprenditoriale, bensì al solo fatto che essa sia formalmente organizzata secondo ripartizioni territoriali tratte aliunde. Ai fini della rilevanza e della rappresentanza degli interessi, invece, ciò che deve contare, in questi casi, è la loro effettiva presenza in loco, essendo palesemente assurdo che un'associazione di imprese con fortissima presenza nella regione Sicilia - quale l'Intersind, che riunisce le imprese a partecipazione statale - non possa essere presente nei consigli generali dei consorzi per le aree di sviluppo industriale solo perchè' si è data un'organizzazione su base regionale e non provinciale.

Considerato in diritto

1.- La questione sollevata dal Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana riguarda l'art. 6 della legge regionale siciliana 4 gennaio 1984, n. 1 sui consorzi per le aree di sviluppo industriale e per i nuclei di industrializzazione della Sicilia, secondo cui al consiglio generale dei consorzi - che di questi ultimi costituisce l'organo deliberativo - partecipano, con diritto di voto, "quattro rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative in campo nazionale, tre rappresentanti delle associazioni degli industriali, di cui due designati dalle associazioni provinciali degli industriali ed uno dall'associazione delle piccole e medie industrie, competenti per territorio, e tre rappresentanti delle associazioni artigiane più rappresentative". La censura investe la parte della norma che riserva tale potere di designazione alle associazioni provinciali degli industriali, così escludendo, secondo il giudice a quo, quelle associazioni imprenditoriali che, come l'Intersind, si siano dotate di un assetto organizzativo le cui articolazioni locali non abbiano carattere associativo ovvero si riferiscano ad ambiti territoriali diversi dalla circoscrizione provinciale. Una simile delimitazione della legittimazione a partecipare alla composizione dei consigli generali dei consorzi viene considerata arbitraria e irrazionale - e quindi contraria all'art.3 della Costituzione - in quanto comporta, senza alcuna ipotizzabile giustificazione sostanziale, l'esclusione di organizzazioni imprenditoriali pur dotate di notevole consistenza organizzativa nell'ambito territoriale del consorzio o della regione e che potrebbero anche rappresentare, in ipotesi, la parte prevalente ovvero una parte comunque notevole, delle imprese industriali in esso operanti.

2. La questione è fondata.

Come questa Corte ha affermato con la sentenza n. 25 del 1966 ed ha successivamente più volte ribadito (sentenze nn. 2 del 1969, 15 del 1975, 68 del 1980, 975 del 1988), "l'uguaglianza ... è principio generale che condiziona tutto l'ordinamento nella sua obiettiva struttura: esso vieta, cioè, che la legge ponga in essere una disciplina che direttamente o indirettamente dia vita ad una non giustificata disparità di trattamento delle situazioni giuridiche, indipendentemente dalla natura e dalla qualificazione dei soggetti ai quali queste vengono imputate" (sentenza n.25 del 1966). Il principio di uguaglianza vige quindi non soltanto nei confronti delle persone fisiche, ma, in quanto sia possibile, anche nei confronti delle persone giuridiche e dei soggetti collettivi in generale.

Da tale premessa deriva che se una legge "dispone che debbono essere chiamati a far parte di un organo amministrativo i rappresentanti di talune categorie, sindacalmente organizzate, è evidente che - salvo a stabilire, in astratto, quali siano i criteri in base ai quali, quando le organizzazioni di categoria siano in numero superiore a quello dei componenti da nominare, questi ultimi debbono di volta in volta essere prescelti e designati - la legge stessa deve assicurare a tutte le organizzazioni di categoria, allo stesso modo, la possibilità astratta di essere rappresentate nella composizione di quell'organo" (sentenze nn. 2 del 1969 e 975 del 1988).

Ciò implica che, nell'individuare i requisiti di legittimazione, il legislatore non può dar rilievo ad elementi che abbiano l'effetto di escludere determinate organizzazioni, ma che non siano in alcun modo correlati alla ratio dell'istituto di cui si tratta ovvero ad altre finalità assunte dall'ordinamento e non siano quindi tali da giustificare ragionevolmente la differenza di trattamento che essi determinano.

Così, ai fini della designazione dei rappresentanti delle organizzazioni dei lavoratori e delle imprese negli organi pubblici (commissioni, comitati, collegi, consigli di amministrazione ecc.) in cui tale rappresentanza è prevista, si è legittimamente affermato nel nostro ordinamento - come ha riconosciuto la sentenza n. 975 del 1988 - un meccanismo di selezione delle associazioni legittimate imperniato sul concetto di "sindacato maggiormente rappresentativo". Il dibattito che investe tale concetto ha riguardo ai criteri di definizione, di rilevazione e di verifica della effettiva maggiore rappresentatività, ma non pone in dubbio che tale principio organizzativo, se correttamente definito e applicato, si concilia col principio di uguaglianza di cui all'art.3 Cost., in quanto è coerente con la finalità di imprimere un carattere partecipativo alla gestione della cosa pubblica e di assicurare una genuina rappresentazione degli interessi, delle volontà e delle esperienze specificamente riferibili alle categorie sociali rappresentate.

La prescrizione - ai fini della designazione dei rappresentanti delle associazioni sindacali negli organi pubblici - di requisiti di legittimazione che abbiano l'effetto di escludere talune di esse solamente a causa del modello organizzativo da esse adottato in ordine alle proprie articolazioni locali, si pone, invece, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, allorquando, come nella specie, per tale specifica modalità di delimitazione della legittimazione non sia ipotizzabile alcuna ragionevole giustificazione in relazione alle ragioni d'essere della disciplina ovvero ad aspetti ai quali una coerente considerazione dell'ordinamento consenta comunque di dare rilievo. Il collegamento con l'ambito territoriale di operatività del Consorzio può certamente essere considerato dal legislatore un elemento rilevante ai fini della legittimazione a partecipare agli organi del consorzio stesso: ma a tal fine non è nè idonea nè necessaria la prescrizione di requisiti - quali il carattere associativo dell'articolazione locale e la sua dimensione provinciale - che attengono alla forma organizzativa e non alla effettività delle realtà imprenditoriali rappresentate e al concreto rapporto di esse con il territorio di competenza del consorzio.

L'irrazionalità della prescrizione di siffatti requisiti di legittimazione si traduce poi in una violazione ancor più grave del principio di uguaglianza, in quanto il discrimine così stabilito viene ad interferire nella sfera dell'autonomia organizzativa che l'art. 39, primo comma, della Costituzione riconosce al sindacato, compreso quello degli imprenditori, e che non può essere assoggettata a limitazioni o condizionamenti che non siano finalizzati al perseguimento di altri scopi costituzionalmente rilevanti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 6 della legge regionale siciliana 4 gennaio 1984, n. 1 (Disciplina dei consorzi per le aree di sviluppo industriale e per i nuclei di industrializzazione della Sicilia), nella parte in cui prevede che due dei tre rappresentanti delle associazioni degli industriali nei consigli generali dei consorzi siano designati dalle associazioni provinciali degli industriali.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21/02/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Ugo SPAGNOLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 9 marzo del 1992.